venerdì 11 aprile 2008

Tribali



Osservando i quadri dei graffitisti americani degli anni ‘80 notiamo nello stile che li caratterizza il tratto deciso, spesso, istintuale, prodotto dalla bomboletta spray.
In Keith Haring è quasi una linea continua, decorativa, che si scopre nel momento in cui il corpo si dispone nello spazio, in cerca di superfici da decorare, da raccontare.
I critici di oggi trovano nel tratto graffitista il richiamo tribale dell’uomo che sente la necessità di esprimere un’ appartenenza e di rappresentarsi, quindi, di riconoscersi.
Nello stesso periodo, fino ad oggi, i giovani cercano i confini del proprio corpo attraverso i tatuaggi, i pircing, il taglio dei capelli. Gli abiti stracciati e ricuciti, molto grandi, comodi, adatti alla strada, al gioco, sono un altro confine in cui trovare spazio.
La tribù è fatta di coetanei in cui riconoscere i propri istinti, le pulsioni musicali, le sensazioni alterate.
Nei quadri dei graffitisti di oggi, che ancora adottano questo modulo espressivo, troviamo simboli come il bambino, l’uomo, il cuore, il gelato, il dollaro, il pesce, l’ombrello, il fiore, e sempre la propria firma, anche quando non c’è niente da firmare se non la propria firma. La tag è un segno che sintetizza, riduce il proprio nome ad una lettera apparentemente astratta che si esprime e si riconosce nella ripetitività.
La tribù in cui riconoscersi, i simboli che raccontano la nostra storia, i riti del gesto ripetuto all’infinito sempre uguale: in definitiva di che cosa stiamo parlando?

L’essere umano che vive su questo pianeta, nella città di New York, (che negli anni 80 rappresenta l’apice della cultura occidentale), cerca la sua identità nel corpo, nell’essenza dell’istinto, nell’assenza di sovrastrutture.
La memoria tribale delle cellule lo porta a rappresentare se stesso, nell’assenza di tempo, nell’essenza della forma. Emerge prepotentemente il senso di uguaglianza. Ha inizio la globalizzazione.
Internet sta per portare una rivoluzione epocale al nostro sistema cognitivo e percettivo.
Se noi oggi parliamo di Universo, di stelle, di galassie, dell’infinitamente piccolo e dell’infinitamente grande, identici nella rappresentazione comprensibile al nostro occhio, traducibile nel nostro sistema decimale di misurazione, dall’astronomo al biologo, noi esseri che ne facciamo parte dove ci collochiamo?
Nella vita di tutti i giorni, con le nostre esigenze, i nostri bisogni, le nostre incomprensibili emozioni, ( meglio comprensibili quando costruiamo un sistema di decodifica come l’analisi o la psicoanalisi) troviamo necessariamente soluzioni essenziali, reagiamo mentalmente attraverso il sistema binario: si-no, vado-non vado, posso-non posso. Mi piace-non mi piace.
Dal momento che è sempre più complesso e serrato il tempo della risposta che ci viene richiesta la nostra reazione salvifica è quella di tornare al corpo, al senso di fame e sazietà, di vuoto-pieno.
Rimane un problema che resta nell’ombra. Tra la veglia e il sonno, la notte e il giorno, la felicità e la tristezza restano i quesiti irrisolti, che abbiamo lasciato al tempo residuo e sono quelli della mente che cerca i propri confini, i limiti di cui ha bisogno per lavorare sulle coordinate dello spazio e del tempo.
Persino un’emozione ha bisogno di confini.

Partendo da una "normalità" presunta, le emozioni che i giovani e ormai i non più giovani, tendono a ricercare e sperimentare fino all’ignoto, attraverso qualsiasi tipo di sostanza che le alteri, dove finiscono? Quali sono i loro confini? Restano dentro i confini del corpo? Coinvolgono anche i vicini? Fino a che punto si spingono? Fino a dove possono arrivare?
La tribù sintetizza e coordina le emozioni, le mette in fila grazie ai tempi collettivi della la festa, la musica, il concerto, l’acool, il fumo. Dentro quello spazio e tempo definiti, la fase sperimentale di ricerca emotiva, spaziale, fisica del superamento dei propri confini individuali può trovare anche il senso della propria fine. Come in un baccanale dionisiaco, le forze collettive scatenano le pulsioni fino a varcare la soglia razionale dei limiti del possibile.
Gli anni ‘80 si chiudono, come in ogni epoca, nulla è più come prima. Tutto torna a una nuova normalità.
*Gli atti fondativi dei popoli, i riti, i miti, le cerimonie, appartengono al DNA delle civiltà pre-moderne e ne costituiscono anche la filosofia.
"Sacro, Mito e Rito trovano fondamento storico nell’Antica Teologia, così come ci viene tramandata da Aristotele e si differenzia dalla filosofia per categorie storiche ed epistemiche. Esiste una filosofia antica che si occupa del Divino: da Pitagora a Parmenide, alla sapienza presocratica, la speculazione filosofica è anche Teologia, teoria, contemplazione del mondo come manifestazione del Divino. Platone pone un’analogia tra mondo dell’Assoluto, monde del Relativo e Luogo Originario come idea del bene e del bello. (…)
Non c’è alcuna differenza tra pensiero che pensa il mondo e pensiero che pensa il Divino."
E.Myōkan Ferrari