sabato 23 gennaio 2010

INDISSOCIABILI


Ogni cosa nel mondo, ogni esistenza è indissociabile.
Ogni cosa nel mondo, ogni esistenza è un dono.
“Viviamo in un immisurabile dono, uno scambio in cui niente è scambiato.” *

Ieri, mentre mi trovavo in stazione, come sempre in corsa contro il tempo, camminavo in fretta attraverso la sala dell’ingresso per cercare un amico con cui dovevo prendere il treno. Ad un certo punto sento la presenza di una figura che mi segue da vicino, non lo vedo perché mi sta dietro ma sento che mi dice sottovoce: “Signora?”. Non mi fermo, guardando di lato vedo che è nero, vestito come uno studente. “Per favore”. Continuo a camminare e a guardare in giro.
“Non adesso” gli dico senza guardarlo e spero che se ne vada.
Se c’è una cosa che mi inquieta è l’insistenza di chi ti segue e non molla, come le zingare.
Io ho i miei lavavetri a cui ogni giorno do qualcosa. Lo faccio sia perché mi sono simpatici sia perché qualcosa a qualcuno devi pur dare! Uno è più giovane, canticchia, parla sempre, usa come litania la sua lingua, quasi a togliersi l’imbarazzo e la solitudine, non si capisce niente di ciò che dice mentre è in movimento tra le macchine in coda al semaforo, agita la spugna e si muove tutto ciondolando.
L’altro è più vecchio, non è nero, potrebbe essere caucasico, sta sempre in piedi con una gamba piegata, appoggiato a un palo, guarda non si sa cosa, forse la sua terra, coi fazzoletti in un sacchetto, ha un’espressione serena ma chissà ... Non allunga la mano per avvicinarli al finestrino, se li vuoi glieli chiedi tu e allora lui sorpreso ringrazia aggiungendo sempre una parola: “Troppo!” e la ripete una sola volta con un’intonazione autentica di stupore, senza guardare che cosa gli hai dato.
Dato che ci vediamo sempre io lo saluto e lui mi risponde “grazie sorella” forse perché il semaforo che si è scelto è vicino al seminario, dove vivono i preti e girano le suore.

Ma oggi in stazione c’è uno che insiste: “Signora, per favore”.
Allora mi giro e vedo la sua faccia. E’ giovane, molto nera, grinzosa, con grandi labbra. Poi di nuovo cerco il mio amico che arriva proprio in quel momento a tutta birra in motorino, con i bagagli a tracolla ma deve ancora parcheggiare e chiudere il lucchetto.
A quel punto il tempo che rimane è poco ed è lì che interviene qualcosa.
Sento la voce del ragazzo singhiozzare e farsi acuta. Mi giro verso di lui per capire che cosa stia succedendo. Lui farfuglia frasi interrotte su treni, viaggi, perdute destinazioni, Ravenna, soldi, con gli occhi chiusi dalle lacrime e dal dolore.
Le emozioni sono rapite da quel momento di compassione. La mia mente però ha calcolato la cifra che lui NON ha detto ma mi ha condotto a dedurre: 10 euro. Non gli voglio dare 10 euro, nonostante la pena, cedo per uno. Lui fa cenno di sì con la testa di lato, come fanno gli indiani.
Faccio appena in tempo a dargli un euro che il nostro treno sta per entrare in stazione, il mio amico si sta avvicinando a piedi, velocemente, guarda verso di noi poi guarda verso i binari e qui colpo di scena: comincia a gridare con tono deciso che è ora di finirla, con voce sicura continua a dire che la deve smettere, dice che è sempre lì a chiedere, poi gli volta le spalle e continua a dirgli che vada a lavorare!
Mi sveglio dallo stato di torpore doloroso in cui mi trovavo. Lo seguo automaticamente camminando dietro di lui ma si ferma, torna un attimo indietro verso il ragazzo, gli parla con voce normale gli dice cose che non sento e lo saluta aggiustandosi i bagagli sulle spalle.
Intuisco poco e sono stordita.
Mentre ci allontaniamo il ragazzo mi guarda, ha la faccia smascherata, lo sketch è finito. Adesso ha tutta un’altra espressione, un po’ pietosa ma questa volta ha lo sguardo smarrito.
Ebbene è una vecchia conoscenza della zona della stazione e del centro, gli abitanti lo conoscono bene. In stazione incontra facce meno note, come la mia e si dedica a pièces di alto livello.
Io e Alberto, l'amico e collaboratore, procediamo lungo il percorso normale dei passeggeri che è fatto di scale, di sottopassaggi, ancora di scale, di zone d’attesa con gruppetti di persone e valigie. Durante il tragitto mi parla della fama dell’aspirante attore che intanto, incurante dei divieti, attraversa spavaldamente i binari saltando da un ferro all’altro poi sul gradone del marciapiede non distante da noi.
Che bravo! E’ riuscito in pochissime battute a farmi partecipe del suo dolore e adesso è di nuovo in cerca di audience a offerta libera. Che il dolore fosse autentico oppure no poco importa. L’attore viene pagato per interpretare la storia di qualcuno e se è bravo gli spettatori si fanno coinvolgere e poi lo premiano con la loro simpatia e riconoscimenti ufficiali.
Una volta, dato che la frase ricorrente che adoperava davanti ad un ristorante era: “ho faame” con la “a” molto accentata, alcuni clienti del locale gli avevano pagato un ricco pranzo. Dopo mangiato e dopo essersi dimenticati della buona azione gli stessi clienti usciti dal locale girano l’angolo e chi ti trovano? Ma sì! Sempre lui! Che ripeteva ottusamente con la stessa cadenza: “ho faame”. Ma come? Si chiedono i due illustri cittadini! Ancora !? Basta! E lo stigmatizzano come imperterrito truffatore.

Siamo tutti collegati. La faccia di un uomo che mi parla e mi esprime il suo dolore fa vibrare il mio cuore ed il suo in quello stesso momento e per essere autentico deve saper interpretare il cuore di ognuno, in assoluto. Non mi importa se ha mangiato, né se deve o non deve partire con quel treno che gli costa 10 euro, quando per andare a Ravenna, da Rimini, ne servono solo 5.
Se fosse vero glieli darei? No, sarebbe lo stesso. Non so perché decido di donare qualcosa a qualcuno ma certamente la buona causa non è la leva giusta, non sempre, non solo.
Il racconto di fantasia, il falso, la finzione evocano un mondo ideale che parla con voce molto più convincente, richiama una condizione verso la quale tendiamo involontariamente.
Quel momento, in cui la mia mente era rapita da uno stato di condivisione, quel mondo evocato attraverso il dolore, quel momento sospeso ha aperto uno squarcio in quella faccia nera nera, nella voce del mio amico che lo ha sgridato, nella mia mente : in quel momento si è rovesciato il buon senso, è apparso un istante infinito, il sacro ha fatto irruzione nel mondo.
Esiste uno scambio, un dono che entrambi ci porgiamo e la moneta che suggella il nostro incontro è una moneta fuori corso, simulacro di verità: il dono è già stato offerto nella relazione che ci ha fatto sentire tutti collegati.


Dana è la prima delle sei Paramita, (Virtù del Bodhisattva) Dono.
L’ultima è Prajna, Saggezza.
1.Dāna paramita: dono, generosità, disponibilità
2.Śīla paramita: virtù, moralità, condotta appropriata
3.Kṣanti paramita: pazienza, tolleranza, sopportazione, accettazione, tolleranza
4.Vīrya paramita: energia, diligenza, vigore, sforzo
5.Dhyāna paramita: concentrazione, contemplazione
6.Prajña paramita: saggezza, comprensione

E. Myōkan Ferrari